09 Set I Maestri della fotografia di Jazz – Herman Leonard
Parliamo di fotografia, di chi ce l’ha insegnata…
Per una volta, ma spero sia la prima di una serie più lunga, non parlo di fotografie ma di fotografia e, più precisamente, di chi ha contribuito a renderla così grande. Per iniziare, non potevo non scomodare sua maestà Herman Leonard, uno dei più grandi fotografi di jazz della storia, se non il più grande in assoluto.
Personalmente, mi imbattei nelle sue immagini nel 2002 quando, a Padova, venne allestita una sua mostra personale ed il buon amico Stefano mi propose di andare a vederla. Fu subito una folgorazione, l’ispirazione seguì da lì a poco. Il primo libro fotografico da me acquistato fu il suo “Jazz Memories”, un volume non solo bello ma utile, uno di quei libri che non smettono mai di insegnarti qualcosa ogni volta che li sfogli, fosse anche la centesima.
Non sto a dilungarmi sulla sua vita, il web è generoso di biografie e le sue immagini parlano da sole. Riporto solo come Herman Leonard, classe 1923, si sia avvicinato alla fotografia a 9 anni affascinato dal lavoro del fratello in camera oscura. Questo “colpo di fulmine” lo ha portato prima al corso di fotografia dell’università dell’Ohio, che concluse dopo una pausa obbligata dovuta alla II guerra mondiale, e poi alla corte di Yousuf Karsh, raffinando le sue già innate doti di ritrattista. Nel 1948 decide di trasferirsi a New York unendo la sua professionalità all’amore per la musica. Il resto è storia.
Per le sue fotografie, Leonard si avvale dell’esperienza maturata sotto la guida del maestro Karsh, unita ad un intuito per le situazioni e per i personaggi del nascente be-bop che solo una prorompente ed inequivocabile passione per la musica può dare: l’attenzione dell’osservatore va dritta al musicista, ripreso sempre in una postura armoniosa e finalizzata ad esaltarne il carisma. Allargando lo sguardo, non possiamo non notare la composizione sempre equilibratissima e bilanciata tra vuoti e pieni, in cui nulla “sporca” l’inquadratura: tutto è dove dovrebbe essere per descrivere al meglio il personaggio ed il suo stato d’animo ed è impossibile trovare qualcosa di superfluo o di “fuori posto”; anche nel caso di contesti ricchi di dettagli, tutto contribuisce a tratteggiare il protagonista e nulla è lasciato al caso. La gestione delle luci e della luce è, infine, altrettanto perfetta, grazie anche alla perizia ed alla passione per la stampa in camera oscura di cui Leonard ha sempre ammesso il fascino: chi ha fatto fotografia di teatro conosce la difficoltà nel gestire zone d’ombra profonda vicinissime a zone fortemente illuminate anche con i performanti apparecchi digitali di oggi. Nelle fotografie di HL, invece, non si avverte la “drasticità” degli alti contrasti dati dalle luci concentrate dei fari di scena: la luce si “appoggia” sui musicisti in maniera morbida, sfruttando tutte le gradazioni di grigio e rendendo giustizia delle tante sfumature dei dettagli di ambienti e soggetti; anche eventuali forti controluce sono gestiti in maniera tutt’altro che invasiva.
In sostanza, Herman Leonard arriva al cuore pulsante di un variegato movimento artistico restituendone un universo fatto di miti e di atmosfere senza tempo, plasmando l’immaginario collettivo delle successive generazioni: dalla sua pubblicazione in poi, chi correrà con la mente al be-bop degli anni 50 ed oltre, sognerà le immagini di HL.
Già questo sarebbe sufficiente a garantire ad Herman Leonard un posto tra i grandi della fotografia ma noi siamo curiosi e vogliamo andare oltre, scorgere almeno una delle geniali intuizioni dell’uomo che sta dietro l’artista, scovare un dettaglio piccolo che racchiude un significato grande. E qui ci viene in aiuto… il fumo.
Si, avete capito bene. Mai come nel repertorio di Herman Leonard, infatti, si trovano così tante immagini in cui i musicisti sono letteralmente accompagnati dal fumo di una sigaretta. Questo, che pare molto più uno stratagemma cercato che una casualità, “funziona” in due maniere differenti ma egualmente efficaci: il musicista si descrive intimamente all’osservatore lasciandosi cogliere nella propria dedizione al fumo che, di volta in volta, sa di emancipazione, piacere, antistress, ricerca della concentrazione, abbandono alla stanchezza (la deprecabilità del fumo quale vizio e pericolo per la salute arriverà molto tempo dopo). Allo stesso tempo, il fumo congela l’istante della scena e lo rende eternamente “vivo”: come uno “spirito” animato di vita propria, rapisce lo sguardo dello spettatore che ne segue il fluttuare nell’aria, ne aspetta il mutuare delle forme, avverte l’irripetibilità dell’intera scena.
Chiudo questa pagina con alcuni dei miei scatti preferiti di Herman Leonard, invitando tutti gli appassionati ad andare alla ricerca e fare proprie le immagini e i libri di questo autentico maestro così come, sono certo, hanno fatto tutti i grandi fotografi di jazz che sono venuti dopo di lui.